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Il giardinaggio: un’attività che nutre il corpo e la mente

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l giardinaggio è una delle attività più piacevoli ed appaganti per coloro che amano trascorrere il proprio tempo all’aria aperta. Creare un giardino, prendersi cura delle piante e osservare il loro sviluppo può essere un’esperienza molto gratificante. In questo articolo parleremo dei benefici del giardinaggio e dei consigli su come creare e mantenere un bellissimo giardino.

I benefici del giardinaggio

Il giardinaggio non è solo un passatempo piacevole, ma ha anche numerosi benefici per la salute fisica e mentale. Innanzitutto, il giardinaggio è un’attività che richiede una certa dose di movimento fisico, come la pulizia delle erbacce, la semina e la cura delle piante. Ciò può aiutare ad aumentare la resistenza fisica e a migliorare la forza muscolare.

Inoltre, il giardinaggio può aiutare a ridurre lo stress e l’ansia. Passare del tempo all’aria aperta, osservando le piante e ascoltando i suoni della natura, può avere un effetto calmante sulla mente e sul corpo. Inoltre, il giardinaggio può essere un’attività sociale, che consente di incontrare e interagire con altri appassionati di giardinaggio.

Come creare e mantenere un bellissimo giardino

Creare e mantenere un bellissimo giardino richiede tempo e dedizione. La prima cosa da fare è scegliere il luogo in cui creare il giardino. È importante considerare la quantità di luce solare, la qualità del terreno e l’accesso all’acqua. Una volta individuata la posizione, è possibile iniziare a pianificare il giardino.

Una buona pianificazione del giardino prevede la scelta delle piante che si desidera coltivare e la creazione di un piano di disegno per il giardino stesso. È possibile optare per una varietà di piante tra cui fiori, piante grasse, erbe aromatiche o anche un orto. È importante scegliere piante che prosperano nelle condizioni del proprio giardino.

La scelta delle giuste attrezzature è un altro aspetto importante del giardinaggio. È possibile acquistare attrezzi di base come zappa, rastrello e forbici, ma ci sono anche attrezzi specializzati come le cesoie per siepi o gli arnesi per trapiantare le piante.

La manutenzione del giardino è altrettanto importante. Ciò include l’irrigazione regolare, la rimozione delle foglie morte, la potatura delle piante e la concimazione. È importante monitorare lo stato delle piante e prendersi cura di eventuali problemi come parassiti o malattie.

Conclusioni

Il giardinaggio è un’attività appagante che offre numerosi benefici per la salute fisica e mentale. Creare e mantenere un bellissimo giardino richiede tempo, dedizione e una buona pianificazione. Ma il risultato finale può essere incredibilmente gratificante e offrire un’oasi di pace e bellezza nella propria casa.

Cosa succede al tuo corpo quando smetti di fumare?

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Fumare, si sa, fa male. Ma cosa succede al corpo dopo che si spegne l’ultima sigaretta e si sceglie di non accenderne più altre?

Ebbene, la ridotta esposizione alla nicotina e alle sostanze chimiche tossiche del tabacco provoca cambiamenti in quasi ogni parte del corpo, da un udito migliore a una fertilità maggiore.

Gli effetti a breve termine dello stop alle sigarette

La nicotina, la sostanza chimica che crea dipendenza nel tabacco, può raggiungere il cervello entro dieci secondi dopo una boccata. Si lega ai recettori nel cervello chiamati recettori nicotinici dell’acetilcolina, che sono numerosi e stimolano il rilascio dell’ormone della dopamina, quello del ‘benessere’.

L’esposizione a lungo termine alla nicotina aumenta il numero dei recettori dell’acetilcolina nel cervello e richiede una quantità crescente di nicotina per ottenere lo stesso rilascio di dopamina, motivo per cui la nicotina crea dipendenza.

Dopo alcune ore, la nicotina viene scomposta, lasciando vuoti i recettori dell’acetilcolina e provocando il crollo della dopamina. Quel calo di dopamina fa sì che il nostro cervello richieda più nicotina. L’astensione dal tabacco per periodi più lunghi farà scendere la dopamina a livelli molto bassi, provocando depressioneirritabilità e ansia.

Molte persone riferiscono difficoltà di concentrazione e una lieve perdita di memoria dopo avere smesso. Questo accade perché la nicotina può stimolare il rilascio dei neurotrasmettitori nell’ippocampo, la regione del cervello coinvolta nell’apprendimento e nella memoria. Questa segnalazione ridotta nelle prime settimane di astensione dalle sigarette può far sentire le persone stordite e pigre.

Questi sintomi di astinenza, insieme all’aumento dell’appetito e dell’insonnia, raggiungono il picco il terzo giorno e possono durare fino a quattro settimane.

La buona notizia è che una volta superata questa soglia, i cambiamenti corporei che avvengono faranno solo sentire bene.

Sensi amplificati

Test su animali da laboratorio hanno scoperto che le sostanze contenute nel fumo della sigaretta possono danneggiare la coclea, l’osso a forma di spirale presente nell’orecchio interno che svolge un ruolo chiave nella percezione uditiva. Il fumo può danneggiare l’udito in altri modi, ad esempio attraverso alterazioni della segnalazione del nervo uditivo o danneggiando i minuscoli peli all’interno dell’orecchio.

Uno studio su oltre 50.000 giapponesi per un periodo di otto anni ha rilevato che il 60% dei fumatori sviluppa una perdita dell’udito ad alta frequenza, con un rischio maggiore per ogni sigaretta in più fumata al giorno. Fortunatamente, il rischio di perdita dell’udito si è ridotto entro cinque anni dalla cessazione del fumo.

Sebbene la ricerca sul fatto che il fumo riduca la nostra capacità di gustare e annusare abbia prodotto risultati contrastanti, gli esperimenti sui topi hanno rilevato effetti dannosi sul sistema olfattivo. L’esposizione dei roditori al fumo della sigaretta uccide le piccole cellule nervose che rivestono la bocca e il naso ma queste cellule conservano la capacità di rigenerarsi una volta eliminata l’abitudine.

Il fumo è stato anche associato alla degenerazione maculare senile, la causa più comune di cecità tra la popolazione anziana. Il rischio della malattia è da tre a quattro volte maggiore nei fumatori rispetto ai non fumatori, tornando alla normalità una volta che smettono di fumare.

Respirazione migliorata

Il cambiamento più significativo che si verifica quando si smette di fumare è nei polmoni. Le ciglia, le minuscole proiezioni simili a peli che rivestono la trachea, ricrescono dopo essere state paralizzate e distrutte dalle tossine del fumo di sigaretta. Le ciglia sane oscillano avanti e indietro per spazzare il muco nello stomaco, distruggendo i microbi intrappolati nei succhi gastrici acidi. Le ciglia difettose causano l’accumulo di muco nelle vie aeree, causando la tosse. I microbi patogeni nel muco si replicano senza controllo, portando ad un aumento del rischio di infezione respiratoria che comincia a diminuire non appena un mese dopo aver smesso di fumare.

Chi smette può notare che può allenarsi più a lungo senza rimanere senza fiato, con un miglioramento del 10% della capacità polmonare in soli nove mesi. L’infiammazione dei bronchi, che collegano la trachea ai polmoni, si riduce e le pareti degli alveoli, le minuscole sacche d’aria che compongono i polmoni, si rafforzano.

Vita sessuale migliorata

Gli uomini che hanno smesso di fumare possono scoprire di avere erezioni più facilmente grazie al miglioramento della circolazione. Le sostanze chimiche del fumo di sigaretta riducono la motilità e il numero di spermatozoi, che si invertono una volta che una persona smette di fumare. Le donne non fumatrici hanno un desiderio sessuale migliorato e possono raggiungere l’orgasmo più facilmente.

Come combattere la caduta dei capelli

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Stempiatura, diradamento, insomma, caduta dei capelli. La calvizie è un problema soprattutto maschile, essendo nella maggior parte dei casi innescata proprio dal testosterone, ovvero dall’ormone che per antonomasia si associa alla mascolinità. C’è lui, infatti, dietro alla famigerata alopecia androgenetica, che colpisce una percentuale importante di uomini di qualsiasi età. Ma quali sono, nello specifico, le cause della caduta dei capelli? E soprattutto, quali sono i possibili rimedi per fermare o quantomeno rallentare il diradamento?

Le cause della caduta dei capelli

Dietro alla caduta dei capelli ci sono diversi fattori. Il più conosciuto è quello genetico e quindi ereditario, che porta alla temuta alopecia androgenetica. Questa è infatti da ricondurre all’inefficacia di un particolare enzima, che è chiamato a sintetizzare l’ormone diidrotestosterone. Non essendo in grado di produrre un numero sufficiente di questo ormone androgeno, l’organismo finisce per sviluppare capelli via via sempre più sottili e più deboli. Il passo successivo è l’atrofizzazione del bulbo pilifero, e quindi in definitiva il diradamento progressivo dei capelli.

Sarebbe sbagliato, però, nominare solo l’ereditarietà: la caduta dei capelli ha anche altre cause da tenere in considerazione. Si pensi, per esempio, all’alopecia nervosa, causata per l’appunto dallo stress, che porta la caduta dei capelli a intensificarsi – peggiorando ulteriormente un eventuale diradamento già in corso. Un altro fattore che incentiva la caduta dei capelli può essere l’anomala produzione di sebo da parte delle ghiandole sebacee del cuoio capelluto, le quali a lungo andare possono dare luogo a un’alopecia seborroica. Quest’ultima, oltre a causare della fastidiosa forfora, ostruisce i follicoli piliferi: se non curata tempestivamente, l’alopecia seborroica può portare all’atrofizzazione dei follicoli, e quindi, anche in questo caso, al diradamento.

Altri fattori sono da individuare nello stile di vita, nel regime alimentare errato e nell’uso di detergenti e di prodotti aggressivi per i capelli.

Contrastare la caduta dei capelli

Come abbiamo visto nel paragrafo precedente, dietro alla caduta dei capelli ci possono essere differenti cause e fattori. Per combattere il diradamento, dunque, è importante per prima cosa sottoporsi a un visita tricologica, tesa a individuare il problema che sta rendendo i follicoli improduttivi. Sulla base di questa diagnosi si potrà avviare una terapia in grado di favorire la ricrescita o, quantomeno, di interrompere la caduta dei capelli.

Sicuramente la prevenzione gioca un ruolo fondamentale: una dieta equilibrata, un’igiene attenta e uno stile di vita salubre sono le basi per allontanare nel tempo lo stempiamento e la caduta dei capelli. Anche i lavaggi dei capelli troppo frequenti – soprattutto se fatti con degli shampoo aggressivi – possono accentuare la caduta, e sono quindi da evitare.

Per contrastare la caduta dei capelli esistono tanti prodotti appositamente studiati, che permettono di fermare il diradamento prima di doversi rivolgere a rimedi molto più costosi – come per esempio le terapie laser o il trapianto di capelli. Tra i prodotti anticaduta si individuano lozioni, shampoo, fiale e integratori, da utilizzare talvolta in combinazione per aumentare l’efficacia del trattamento. Questi prodotti contro la caduta dei capelli agiscono su più fronti, aiutando la circolazione sanguigna a livello del cuoio capelluto, rendendo i capelli più forti e resistenti e favorendo la ricrescita di nuovi capelli

Quali problemi si possono risolvere con i fiori di Bach?

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Non serve certo essere degli esperti di naturopatia per conoscere, almeno per sentito dire, i fiori di Bach: queste sostanze energetiche estratte dai fiori selvatici sono infatti molto diffuse, e negli ultimi anni hanno goduto di una particolare fortuna. Ma funzionano davvero? E soprattutto, in quali casi possono servire? Vediamo insieme, in questo articolo, quale può essere l’effettivo uso dei fiori di Bach.

Cosa sono i fiori di Bach, e su quali principi si poggiano?

A introdurre l’uso dei fiori di Bach nel mondo dell’omeopatia e quindi della medicina fu il dottore inglese Edward Bach, che battezzò con il suo stesso cognome questi rimedi floreali. Quando si parla dei fiori di Bach senza null’altro specificare ci si riferisce a tutte e 38 le essenze usate da omeopati, da aromaterapeuti, da naturopati e da erboristi.

Queste particolari soluzioni partono dal singolare approccio di Bach che, negli anni Trenta del secolo scorso, per presentare la sua innovativa terapia, spiegava ai colleghi «non tenete alcun conto della malattia. Pensate piuttosto alla prospettiva che ha della vita colui che ne è afflitto». L’attenzione del naturopata, insomma, non dovrebbe essere rivolta alla cura della malattia, quanto invece alla cura della persona. I sintomi fisici, per Bach, erano altrettanti simboli di malesseri mentali: la rigidità degli arti era per esempio sintomo di rigidità mentale, così come l’asma indicava per Bach una repressione delle emozioni. I rimedi proposti da Bach consistono dunque in miscele di acqua, alcol e tintura madre, ovvero di materiale floreale.

Non esattamente omeopatia, quanto invece fitoterapia

I fiori di Bach, in realtà, non sono dei veri e propri rimedi omeopatici: se infatti l’omeopatia analizza per prima cosa i sintomi fisici e poi gli aspetti legati alla psiche, la floriterapia di Bach parte dagli strati d’animo, e da lì inizia a curare la malattia. Sta qui, di fatto, il nocciolo del pensiero del dottore inglese: una terapia che non cura l’anima del paziente non può in alcun modo assicurare una guarigione completa.

I tipi di fiori di Bach

Come anticipato, esistono diverse tipologie di fiori di Bach, ognuna delle quali viene indicata per risolvere un determinato problema. La paura, per esempio, si può combattere con i Cherry plum o con i Red Chestnut, laddove invece la sensazione di solitudine può essere attenuata con i Water Violet. Esiste poi un particolare rimedio universale – chiamato Rescue Remedy – che si compone della miscela di 5 diverse tinture madri. Al suo interno si trovano le materie floreali Rock Rose, Cherry Plum, Star of Betlehem, Clemantis e Impatiens.

Le indicazioni: quando si possono usare i fiori di Bach?

I fiori di Bach vengono utilizzati soprattutto per contrastare le situazioni di ansia, e in generale per aiutare le persone a passare con maggiore leggerezza dei momenti difficili. Queste miscele sono dunque indicate di volta in volta per superare la paura dovuta a un improvviso spavento, ma anche per uscire con più velocità da situazioni particolarmente stressanti, nonché per scacciare l’insonnia. In ogni caso, bisogna sottolineare che i fiori di Bach non possono essere usati per risolvere delle situazioni psicologiche prolungate nel tempo, né per trattare delle malattie organiche. I fiori di Bach, insomma, devono essere visti come un supporto psicologico, e mai come un trattamento miracoloso che, da solo, può guarire completamente una persona da una patologia importante

Quando (e come) togliere il ciuccio

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Togliere il ciuccio, molto spesso, è tutto fuorché un passaggio liscio e semplice: alcuni bebè non vogliono assolutamente liberarsene! In questo articolo vedremo dunque insieme qual è il momento giusto per togliere il ciuccio ai nostri bambini, per poi concentrarci sulle tecniche più efficaci per rendere indolore questa transizione.

Prima di iniziare, però vogliamo sottolineare il fatto che il ciuccio non va assolutamente demonizzato: se di qualità e utilizzato , infatti, il succhietto non è affatto dannoso per la salute del bambino. Anzi, l’uso del succhietto può avere tanti vantaggi. Per prima cosa, è stato dimostrato che il ciuccio incentiva il rilascio di endorfina, più comunemente chiamata come ormone della felicità. Oltre a questo, è estremamente utile nel momento in cui i neonati – magari a causa delle coliche – non riescono a prendere sonno.

Detto questo, arriva per tutti i bambini il momento di abbandonare l’amato succhietto. Un uso eccessivo e prolungato nel tempo, infatti, può effettivamente portare problemi sia ai denti che alla bocca. Ma quando arriva il momento giusto di togliere il ciuccio?

Quando togliere il ciuccio

Non esiste una regola assoluta che indica le precisa data in cui il succhietto va eliminato. Per capire quando è il momento più opportuno per togliere il ciuccio gli stessi pediatri si sono affidati a degli studi specifici, i quali hanno dimostrato che chi utilizza il succhietto dopo i 4 anni ha maggiori probabilità di avere a che fare con dei problemi di malocclusione dentale. Quindi la maggior parte dei pedagogisti consiglia di togliere assolutamente il ciuccio entro i tre anni di età, e preferibilmente ancora prima, entro i primi due anni di età. Va sottolineato, in realtà, che in certi casi è possibile provare a eliminare il succhietto già al dodicesimo-diciottesimo mese, usando un bel po’ di tatto e non forzando la mano.

Sarà del resto lo stesso bimbo, a volte, a segnalare questo momento, dimenticandosi totalmente del ciuccio o dimostrandosi già abbastanza sicuro di sé. Nella maggior parte dei casi, invece, far dimenticare il ciuccio ai piccoli sarà leggermente più difficile – ma non impossibile.

Come togliere il ciuccio riducendo al minimo lo stress

Normalmente, un bambino a cui viene tolto il ciuccio si mostrerà piuttosto irritabile e scontento per alcuni giorni, in genere tre o quattro. Durante queste prime giornate, infatti, il bimbo non sarà a proprio agio, e farà fatica a rilassarsi a dovere.

Per ridurre al minimo le conseguenze negative dell’eliminazione del ciuccio è possibile partire con il suo razionamento, lasciandolo dunque al bambino solamente la sera, per addormentarsi. Sarebbe una buona norma poter contare su una scatoletta in cui lo stesso bambino dovrà riporre il ciuccio la mattina prima di iniziare la giornata, per poi recuperarlo la sera.

Nel momento in cui il bambino non avrà più alcun bisogno del ciuccio durante la giornata, si potrà considerare di toglierlo anche la sera – e quindi definitivamente – sostituendolo con qualcos’altro: una favola, degli abbracci e delle coccole, o persino una piccola copertina morbida e piacevole da toccare. In linea generale, il sonno del bambino nelle prime notti senza ciuccio non sarà dei migliori, e di conseguenza nemmeno il nostro. Ma questo periodo stressante durerà poco!

Menopausa: i disturbi più frequenti e gli integratori per contrastarli

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La menopausa è un periodo di forte cambiamento: per affrontarlo in salute è necessario prendere dei piccoli accorgimenti. I consigli da seguire, in questo senso, sono davvero tanti. Per vivere al meglio la menopausa è necessario svolgere regolarmente dell’attività fisica, eliminare la nicotina, ridurre il consumo di alcol e seguire un’alimentazione salubre, varia ed equilibrata, particolarmente ricca di frutta e verdura. Sì, perché le donne in menopausa hanno un bisogno marcato di minerali e di vitamine: non a caso esistono molto integratori per la menopausa, pensati esattamente per integrare la dieta con le sostanze giuste.

Ma prima di parlare nello specifico delle vitamine, dei sali minerali e degli integratori per la menopausa, è meglio riassumere brevemente quelli che sono i sintomi principali che caratterizzano questo peculiare periodo della vita di ogni donna.

La menopausa: i sintomi

La menopausa, in estrema sintesi, indica il momento in cui, a causa di fisiologici cambiamenti a livello ormonale, il ciclo mestruale scompare. Di fatto, l’attività di produzione di ovuli si interrompe solitamente tra i 45 e 55 anni. Ancor prima della menopausa vera e propria iniziano però a comparire vampate di calore, sudorazione notturna ed episodi di insonnia, sintomi che tendenzialmente scompaiono nel giro di tre anni. A tutto questo si sommano disturbi dell’umore, palpitazioni e secchezza vaginale, fenomeni che sono direttamente correlati al calo degli estrogeni. Va poi sottolineato che durante la menopausa aumenta il rischio di fratture e di osteoporosi, nonché di patologie cardiovascolari.

Le vitamine, i sali minerali e gli integratori per la menopausa

Bisogna sapere che le necessità nutrizionali variano in base all’età e al sesso. Non deve dunque stupire che, arrivate alla menopausa, le donne abbiano bisogno di regolare leggermente la propria dieta, per essere sicure di introdurre nel proprio organismo tutti i nutrienti necessari.

Come anticipato, la menopausa moltiplica il rischio di osteoporosi. Per mantenere solide e forti le  ossa le donne che raggiungono il climaterio dovrebbero essere certe di introdurre non solo calcio, ma anche magnesio, vitamina D, vitamina K, selenio e zinco, nonché, a far bene, una quantità sufficiente di vitamine B86, C, E, e K. Già per combattere uno dei problemi della menopausa, come si vedere, si prospetta quindi una dieta molto varia, ricca di cavoli, verdure a foglie verde, spinaci, carciofi, broccoli, arance, albicocche, frutta secca, latticini e via dicendo.

Per regolare l’attività ormonale e diminuire i sintomi, è poi una buona idea fare il pieno di vitamina B6, la quale – insieme alla vitamina B12, aiuta il metabolismo dell’omocisteina. Per salvaguardare la pelle, poi, gli integratori per la menopausa prevedono talvolta la presenza di Zinco, nonché delle vitamine B2 e B3, per incentivare la produzione di collagene.

Parlando di menopausa e più in generale di aging, non va mai dimenticato il ruolo fondamentale degli antiossidanti, presenti negli integratori per la menopausa ma anche, ovviamente, in tanti alimenti, a partire dall’uva, dai mirtilli, dal cavolo, dagli spinaci, dalle more e dalle barbabietole, tutti estremamente ricchi di antiossidanti.

Come scegliere la crema antirughe?

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È inevitabile, tutte le persone devono affrontare l’invecchiamento cutaneo. I sintomi di questo processo sono noti a tutti quanti: parliamo della comparsa di piccole macchie cutanee, di cedimenti e, ovviamente, della comparsa di rughe. A dare il via a questa involuzione sono tanti fattori, a partire dallo sviluppo dei radicali liberi e dal rallentamento nella produzione di proteine fondamentali per il benessere della pelle, come l’elastina e il collagene. Come è noto, in alcuni casi la pelle invecchia prima, in altri dopo, e c’entrano anche lo stile di vita, il fumo, l’esposizione ai raggi solari, l’alimentazione e via dicendo. In ogni caso, il primo e più immediato alleato per contrastare l’invecchiamento cutaneo, al fianco di uno stile di vita salutare, è costituito dalla crema antirughe. In commercio, però, ne esistono di tantissimi tipi, spesso molto differenti uno dall’altro. In base a quali criteri va scelta, dunque, la crema antirughe più adatta per la tua pelle?

Scegliere la crema antirughe in base all’età

Non tutte le persone, come anticipato, affrontano il medesimo invecchiamento cutaneo alla stessa età. Ciò non toglie, però, che la pelle di una ragazza ventenne presenti delle caratteristiche molto differenti rispetto a quella di una quarantenne o di una cinquantenne. Per questo motivo, il primo fattore da tenere in considerazione per scegliere una crema antirughe è la propria età.

A vent’anni non si parla di vere e proprie creme antirughe, quanto invece di creme contro la pelle secca o contro la pelle grassa, nonché di soluzioni per combattere l’acne, le quali possono in caso ritardare e attenuare la comparsa dei primissimi segni dell’età. É piuttosto dopo i trent’anni che iniziano a comparire, soprattutto intorno agli occhi, le prime rughe vere e proprie. A partire dai quarant’anni la pelle inizia poi a perdere compattezza, richiedendo una crema antirughe specifica.

La scelta della crema antirughe in base al tipo di pelle

Al di là dell’età, ovviamente, ognuno di noi si trova ad avere a che fare con una pelle diversa. C’è chi per esempio ha una pelle perennemente disidratata, ‘che tira’, e c’è chi, invece, ha la pelle lucida. La pelle secca è più fragile, si irrita facilmente, e deve dunque essere trattata con una crema antirughe provvista, tra le altre cose, di buoni filtri solari. La pelle grassa è invece caratterizzata da una sovrapproduzione di sebo: la crema da scegliere, dunque, oltre a mantenere l’elasticità della pelle, deve ridurre l’aspetto lucido, regolarizzando eventualmente la produzione di sebo. Il mondo, però, non è solo bianco e nero. Molte persone hanno infatti a che fare con della pelle mista, e quindi composta da parti secche e da parti più grasse. Diventa dunque indispensabile dotarsi di una crema antietà apposita, in grado di proteggere la pelle secca e di ridurre la lucidità della pelle grassa.

I fondamentali principi attivi delle creme antirughe

Ogni crema antietà presenta una formulazione diversa. Ciononostante, ci sono alcuni principi attivi fondamentali per una crema antirughe. In molti casi si ha per esempio a che fare con pomate ricche delle vitamine A, C ed E, e quindi di agenti antiossidanti in grado di contrastare i radicali liberi, e quindi l’invecchiamento. Una crema antirughe per pelli spesse è spesso caratterizzata da un alto contenuto di alfaidrossiacidi, ovvero di particolari acidi presenti nella canna da zucchero, negli agrumi e nell’uva che presentano una marcata azione esfoliante, perfetta per vivacizzare la pelle. A combattere le prime rughe è invece il retinolo, il quale non a caso è tendenzialmente presente nelle creme antirughe per le persone più giovani.

Meglio uno spazzolino elettrico o uno spazzolino manuale?

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Ormai da decenni gli spazzolini elettrici sono arrivati sul nostro mercato. Ancora oggi, però, molte persone si interrogano su quale sia il dispositivo migliore da utilizzare tra questo e il classico spazzolino manuale. In questo articolo, dunque, presenteremo quelli che sono i vantaggi e gli svantaggi di entrambi i modelli, per capire qual è lo spazzolino più adatto per la tua igiene orale.

I vantaggi e gli svantaggi dello spazzolino elettrico

Partiamo col dire che lo spazzolino elettrico non è, come in molti credono, un prodotto diffuso per la sola potenza della propaganda mediatica: gli spazzolini elettrici di qualità, infatti, sono degli strumenti molto efficaci per l’igiene orale. Partendo da questo presupposto, bisogna sottolineare che a oggi, sul mercato, esistono diverse tipologie di spazzolino elettrico. In linea di massima, però, questo dispositivo è costituito da due parti distinte ‘classiche’ e praticamente onnipresenti, ovvero da una testina provvista di setole che oscillano, e da un manico/corpo contenente il motore elettrico. La maggior parte degli spazzolini elettrici in commercio, ormai, non richiede più il collegamento alla presa elettrica, essendo dotata di batteria ricaricabile.

Quali sono, dunque, i vantaggi dello spazzolino elettrico? Sicuramente – e parliamo dei dispositivi di qualità – gli spazzolini elettrici permettono una pulizia efficace dei denti e, nonostante la maggiore complessità dei dispositivi rispetto ai semplici spazzolini manuali, sono molto semplice da utilizzare. Si tratta peraltro di dispositivi molto versatili, con la possibilità di utilizzare testine con forme e setole diverse, nonché di cambiare il ‘programma’ di pulizia, regolando dunque l’intensità del movimento delle setole. Va poi detto che, potendo contare su un movimento autonomo della testina, risultano l’ideale per tutte quelle persone che possono avere delle difficoltà a manovrare correttamente uno spazzolino manuale: ci riferiamo soprattutto ai bambini e agli anziani. Di contro, però, va sottolineato che uno spazzolino elettrico costa molto, molto di più rispetto a uno spazzolino manuale. Questo dispositivo, inoltre, è piuttosto ingombrante, sia a livello del lavabo che, ovviamente, in occasione di viaggi: lo spazzolino da valigia, insomma, resta sempre manuale.

I pro e i contro degli spazzolini classici

Allo spazzolino classico non servono certamente delle presentazioni. Si tratta di un accessorio estremamente economico che, affinandosi nel tempo, è diventato molto efficace per una corretta igiene orale. Non ingombra né a livello del bagno né in valigia, e inoltre non abbisogna di nessuna alimentazione. Va poi aggiunto che questo, nella maggior parte dei casi, è il primo spazzolino con cui facciamo conoscenza da piccoli. Rispetto ai modelli elettrici, però, lo spazzolino manuale presenta anche degli svantaggi innegabili: lavarsi i denti con uno spazzolino classico richiede più impegno, più attenzione e più ‘partecipazione’, in quanto ogni movimento dipende dal nostro polso e dalla nostra mano. Ne risulta dunque che alcuni punti sono più difficili da raggiungere e da pulire in modo soddisfacente, laddove invece lo spazzolino elettrico, grazie al suo motore e alle sue testine intercambiabili, offre maggiore versatilità.

Ma cosa ne pensano gli esperti?

Spazzolino elettrico o spazzolino manuale: il parere degli esperti

Dal punto di vista del budget, vince a mani basse lo spazzolino manuale, con lo spazzolino elettrico che svetta quanto a versatilità. È però dimostrato che entrambi, se usati correttamente, rimuovono la stessa percentuale di placca: uno spazzolino manuale manovrato nel modo giusto – verso l’alto nell’arcata inferiore e verso il basso nell’arcata superiore – permette di eliminare il 70% della placca, e lo stesso fa anche lo spazzolino elettrico.

La scelta, in definitiva, è libera: l’importante è usare lo spazzolino nel modo giusto!

Quando usare la cavigliera?

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Runner, calciatori, giocatori e giocatrici di pallavolo e di basket: per tutti loro, e per molti altri, la maggior parte degli infortuni si colloca proprio a livello della caviglia. Basta un passo falso durante una corsa o magari durante una passeggiata, o un atterraggio mal coordinato sotto rete o sotto il canestro, per posizionare erroneamente il piede e dare il via a un trauma di tipo distorsivo. In molti casi, l’uso della cavigliera è tra i principali metodi per curare l’articolazione e proteggerla da fastidiose recidive. Ma in quali casi usare la cavigliera? Quando è possibile usare una semplice cavigliera elastica, e quando, invece, è necessario optare per una più strutturata cavigliera bivalve?

I traumi della caviglia

Bisogna anticipare il fatto che, tra le nostre articolazioni, la caviglia è estremamente particolare: in un individuo sano, infatti, tutte le sue superfici si incastrano in modo ottimale, così dare rendere l’articolazione molto stabile. Ne risulta che per la caviglia, una normale lesione dei legamenti non porta a un’operazione chirurgica, come invece avviene al contrario quando si parla, per esempio, del crociato. Non tutti i traumi, del resto, sono uguali: per quanto riguarda la caviglia, si parla nella maggior parte dei casi di distorsioni, le quali possono essere di quattro differenti gradi. In linea generale, una distorsione ha luogo nel momento in cui, per un passo falso, si fa una rotazione interna del piede eccessiva, mettendo a dura prova i legamento

La distorsione di grado zero è un disturbo del tutto passeggero. Di fatto si limita a un dolore momentaneo, che dura una manciata di minuti, senza alcuna conseguenza. I problemi iniziano invece con la distorsione di primo grado, quella che tutti quanti definiamo ‘slogatura’ o ‘storta. Il dolore qui è più forte e più prolungato, con un gonfiore che si manifesta eventualmente alcune ore dopo l’infortunio. Già per una distorsione di primo grado è consigliabile, nella maggior parte dei casi, rivolgersi a un medico per una fasciatura efficace, e calmare il dolore con la borsa del ghiaccio.

Più grave la distorsione di secondo grado, con gonfiore e macchie che indicano la rottura dei vasi sanguigni. Qui è fondamentale applicare del ghiaccio il prima possibile, per poi recarsi al pronto soccorso allo scopo di verificare la presenza di danni ai legamenti. Il caso più grave, infine, è quello della distorsione di terzo grado: il dolore è immediato e acuto, rendendo assolutamente impossibile il movimento della caviglia. Anche in questo caso è necessario applicare immediatamente del ghiaccio e recarsi al pronto soccorso, per controllare la condizione dei legamenti e delle ossa

Quando usare la cavigliera?

Abbiamo visto i diversi tipi di distorsioni che possono colpire la caviglia. In quali casi si dovrebbe usare la cavigliera? Sottolineando il fatto che per le distorsioni più dolorose un parere medico è d’obbligo, va detto che nei casi più gravi è necessario utilizzare un tutore che immobilizzi l’articolazione, condizione che però non va prolungata nel tempo. É certamente più diffuso l’utilizzo delle cavigliere bivalve, che limitano i movimenti dannosi e conferiscono stabilità. Per le distorsioni più lievi, per la riabilitazione e per la prevenzione si passerà invece alla più leggera cavigliera elastica, la quale ha la funzione di evitare ulteriori lesioni. In ogni caso, le distorsioni di primo e di secondo grado richiedono – in quantità diverse – riposo, borsa del ghiaccio, cavigliera e sedute di fisiokinesiterapia, con l’eventuale utilizzo di stampelle per qualche giorno. Le distorsioni di terzo grado, invece, prevedono l’immobilizzazione iniziale della caviglia, per poi procedere con cautela con un percorso di fisiokinesiterapia.

Deodorante: come scegliere quello giusto?

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D’estate o d’inverno, per le attività sportive ma anche semplicemente per l’ufficio: il deodorante è diventato senza ombra di dubbio uno strumento indispensabile nella nostra vita quotidiana. Del resto, basta salire su un bus urbano durante una calda giornata estiva per avere la conferma che sì, ormai usare il deodorante è un fondamentale gesto di civiltà, che costa poco sia in termini economici che di tempo. Ma come scegliere il deodorante giusto per la nostra pelle e per le nostre esigenze? Ecco tutto quello che dovresti sapere prima di acquistare il tuo prossimo deodorante!

C’è sudore e sudore

Di fatto non tutti i composti liquidi che vengono emessi dalla nostra pelle sono da eliminare o da ‘deodorare’. Il sudore, dunque, non è sempre uguale. Il sudore della termoregolazione, di per sé, è infatti composto quasi esclusivamente da acqua, ed è dunque pressoché inodore. C’è poi un altro tipo di sudore che lascia degli aloni e delle macchie sugli indumenti, e c’è un terzo tipo, ancora più denso e più odoroso. Ebbene, è quest’ultimo il tipo di sudore per il quale è assolutamente necessario scegliere il deodorante più giusto per la propria pelle: si tratta infatti di un liquido lattiginoso e carico di feromoni che, lì dove il nostro corpo presenta delle pieghe – a partire dalle ascelle – tende a emanare odori decisamente sgradevoli. Il primo passo, ovviamente, è costituito da un’attenta igiene. Il secondo passo, poi, è rappresentato dal deodorante: vediamo come sceglierlo!

Scegliere il deodorante: la varie tipologie

Chi suda molto e presenta una pelle non particolarmente sensibile dovrebbe optare per un prodotto antitraspirante, il quale contiene solitamente delle sostanze astringenti, così da limitare la fuoriuscita di sudore. La quantità di queste sostanze, però, non deve essere eccessiva, per non rischiare di chiudere del tutto le ghiandole sudoripare. Il deodorante non antitraspirante, invece, non va ad agire sulle ghiandole e quindi sulla sudorazione: il suo obiettivo è invece quello di diminuire i cattivi odori. Il vantaggio, qui, è quello di permettere alla pelle di respirare; d’altro canto, chi ha una sudorazione abbondante potrebbe trovare un semplice deodorante non sufficiente.

Detto questo, scegliere il deodorante vuol dire anche destreggiarsi tra i vari formati. Esistono infatti i classici deodoranti spray, perfetti per chi desidera avere un unico deodorante spray da condividere eventualmente con il partner o con la famiglia, nonché per chi cerca un prodotto velocissimo da applicare. Ci sono poi i formati roll-on o stick, che non dovrebbero essere condivisi per questioni igieniche, pratici da utilizzare soprattutto per chi ha le ascelle perfettamente depilate. Infine ci sono dei particolari deodoranti in formato crema, piuttosto rari, che si rivolgono a delle persone con una sudorazione importante.

Gli ingredienti ai quali stare attenti

Generalmente, i deodoranti antitraspiranti contengono dei sali di alluminio, i quali come abbiamo visto servono per bloccare parzialmente le ghiandole sudoripare. Chi ha una pelle sensibile dovrebbe evitare questi prodotti, i quali, in un contesto normale, sono comunque sicuri, a patto di essere utilizzati con moderazione.

Il consiglio è sempre quello di acquistare solo deodoranti testati: in questo modo si evita automaticamente di entrare in contatto con degli interferenti endocrini, che possono alterare il nostro sistema ormonale, o ancora peggio con sostanze come il triclosan.

Quando si utilizza un deodorante sbagliato, per una allergia o per la bassa qualità del prodotto, possono insorgere delle irritazioni locali, e quindi prurito, bruciore e rossore: solitamente, per far sparire l’irritazione, è sufficiente interrompere l’utilizzo del deodorante.